martedì 27 ottobre 2020

La prima imperatrice - Pollia

Una Venere con il volto di Giunone. Non esiste descrizione più accurata di quella donna che servivo e che seguivo ogni giorno. La prima volta che la incontrai ero appena stata comprata da un tale chiamato Marco Claudio Marcello. Il mio nome precedente, che lui riteneva orrendo, venne cambiato in ‘Pollia’; venni vestita con abiti umili e sporchi e venni condotta sul Palatino in quell’abitazione dove sapevo risiedeva un uomo che tutti temevano. Il mio primo pensiero fu ‘Ecco, ora mi metteranno al servizio dell’imperatore’ … ma non fu così. Marcello mi portò in questa stanza dove conobbi una giovane donna che all’inizio scambiai per una serva.
L’unica cosa che lui mi disse fu:
“Non farla arrabbiare e non avrai problemi con nessuno.”
Non era una serva.
Lei si voltò verso di me nell’esatto momento in cui Marcello lasciò la stanza, per un attimo avrei preferito tornare in quella terribile asta di vite umane piuttosto che vedere in faccia la donna che avrei dovuto servire.
Eravamo faccia a faccia ed io rimasi sinceramente scioccata nell’apprendere che era davvero una bellissima ragazza, sembrava una principessa delle favole. Aveva capelli bruni, chiari, ed i suoi occhi erano dello stesso colore del cielo; il suo giovane volto era bellissimo, anche se un po' gonfio sulle guance e sul mento; aveva le sopracciglia fini ed una fronte leggermente larga.
Quando quella ragazza mi vide mi sorrise e si alzò per guardarmi da vicino. La sua pelle era priva di imperfezioni, il suo corpo odorava di menta e le mani con le quali mi toccò il volto erano morbide. Mi toccava con la stessa tenerezza di una madre, il suo sorriso era dolce ma i suoi occhi erano freddi, come quelli di un matematico.
Livia Drusilla Claudia
Mi guardò negli occhi poi si allontanò e mi disse:
“Apri le braccia.”
Io eseguii.
“Fai un giro completo ma piano.”
Eseguii il comando.
“Bene. Quegli abiti dovranno essere puliti e dopo potrai presentarti in pubblico con me. Un’ultima cosa, però: come ti chiami?”
“Po-Pollia.”
“Bel nome. Anche se non è il migliore.”
Da quel momento la mia vita cambiò completamente. Ero stata comprata al mercato degli schiavi ed ero stata condotta sul Palatino dove risiedeva l’uomo più potente del mondo e lì incontrai la donna più potente del mondo: Livia Drusilla Claudia.
Descrivere l’imperatrice in poche parole è abbastanza complicato ma comunque ci proverò. Livia non era una ragazza che amava mettersi in mostra, quando uscivamo insieme non si metteva mai dei gioielli ed i suoi abiti erano sempre scuri; io dovevo starle dietro, non dovevo mai sorpassarla e quando incontravamo altre matrone dovevo stare zitta e lasciare parlare lei. Le donne che incrociavamo non erano come Livia, indossavano abiti più sfarzosi ed erano molto più truccate e soprattutto indossavano tonnellate di gioielli; nonostante Livia sembrasse una stracciona non troppo diversa da me, loro la seppellivano di complimenti e lei li accettava senza mai ricambiare il favore. Era bravissima a fingere di essere timida.
Quando passavamo vicino agli uomini questi si spostavano e la salutavano guardandola negli occhi. Anche loro avevano la bocca piena di complimenti.
Quando passavamo per i mercati le merci le venivano offerte ma lei rifiutava sempre con molta cortesia, tuttavia quando non poteva farlo dava le cose a me e mi diceva che erano dei regali che io potevo conservare; non mi era permesso rifiutare i regali.
Livia si svegliava sempre prima di suo marito e andava a letto presto. Non mangiava molto però camminava spesso. Quando stava in casa lasciava a me il compito di cucinare, tuttavia dovevo farlo sotto il suo sguardo vigile; le piaceva moltissimo insegnarmi a preparare i pasti e non aveva peli sulla lingua quando doveva criticarmi. Lei cuciva personalmente gli abiti del marito e gli acconciava i capelli.
Se Livia non era impegnata in attività casalinghe e se non aveva voglia di camminare allora si dedicava alla poesia oppure, semplicemente, andava alle terme per rilassarsi. La prima volta che la accompagnai alle acque termali ero sinceramente curiosa di scoprire che corpo nascondesse sotto quegli abiti; che donna poteva essere la moglie dell’imperatore? Avevo sentito parlare della bellissima regina d’Egitto e se davvero era così bella, come si diceva, allora doveva essere, come minimo, simile a Livia Drusilla.
La prima volta che vidi il suo corpo nudo rimasi incantata da quello splendore divino. Aveva il corpo di una Venere, ben proporzionato e senza eccessi; i suoi capelli, che teneva sempre acconciati, erano abbastanza lunghi da toccarle le spalle. Quando la aiutavo a lavarsi mi era proibito fare osservazioni sul suo corpo e mi era, soprattutto, proibito di parlarne con altre persone.
Il suo stile di vita e la sua bellezza divina mi colpirono, ovviamente, ma erano nulla se paragonate al potere che possedeva. Io ero una schiava, nulla di più. Non conoscevo lo stato di una donna comune a Roma, ma probabilmente non stava meglio di quelle della Grecia, tuttavia ero certa, anzi, ero sicurissima che nessuna donna potesse avere più potere di un uomo. Non avevo ancora incontrato Livia Drusilla Claudia.
Non solo lei gestiva i soldi di casa, il che era abbastanza strano, ma gestiva anche le finanze dello stato. Ottaviano Augusto era più gracile di lei e anche più docile, non osava mai alzare la voce in sua presenza e sempre ubbidiva in silenzio quando lei prendeva una scelta. Forse non era Augusto il vero imperatore di Roma, forse era davvero lei.
Le regole di Livia erano ferree e tutti coloro che osavano violarle venivano cacciati da casa sua, se lei era di buon umore … ma se era di cattivo umore poteva anche decidere di usare metodi più estremi. Per lei chiunque la attaccasse personalmente, cittadino Romano o no, doveva essere punito severamente; non conosceva pietà né per amici e nemmeno per famigliari.
Una volta, non so per quale ragione, arrivò persino a cacciare di casa un uomo che aveva osato fare una pessima battuta a sfondo sessuale su di me mentre era in presenza di Livia; lei odiava la volgarità e quell’uomo non mise più piede nel Palatino per almeno due anni.
Era una donna intransigente, sì, ma aveva anche un particolare senso dell’umorismo. Io, per la cronaca, ero la più simpatica fra le due e conoscevo diverse barzellette; però lei amava soltanto quelle sugli animali, non so perché ma lei rideva fino a lacrimare quando gliele raccontavo. Mi era proibito farla ridere in pubblico.
Ammetto che con il tempo mi abituai al suo carattere e ai suoi sguardi che potevano mettere in soggezione persino un leone. Ricordo quando passò quel giovane uomo di nome Tito Veturio, se non erro, egli doveva chiedere un favore all’imperatrice e, ovviamente, riuscì a farla innervosire, anche se non troppo perché alla fine lei gli diede il denaro di cui aveva bisogno.
Soltanto una volta io ebbi un confronto con lei. Era da poco morto Marco Claudio Marcello. Io non odiavo quell’uomo, non mi stava simpatico, ma non provavo rancore per lui. Sapevo che Livia era stata accusata da alcuni di aver orchestrato il suo assassinio e fu solo per caso che la cosa saltò fuori durante un momento in cui eravamo insieme. Ero da sola con lei e la stavo aiutando a vestirsi quando la sentii mormorare qualcosa del tipo:
“Maledetti arroganti.”
“Come?” le domandai io sorpresa da quel commento a vuoto.
“Scusami, Pollia, non volevo disturbarti. Continua pure.”
“No, no … è solo che … mi sembrava un po’ irritata. Qualcosa non va?”
“Oh, lo sai benissimo che qualcosa non va. Anche tu hai le orecchie, no?”
“Io …”
Non volevo farle capire che io sapevo delle accuse ma lei, con i suoi occhi penetranti, aveva intuito tutto soltanto guardandomi.
“Smetti con questa recita, Pollia, sei patetica.”
Come al solito era tagliente nei suoi commenti. Diceva sempre quello che pensava e non le importava della reazione delle persone.
“Io so, sì” le dissi io.
“E hai già preso una decisione?”
“Non me ne intendo di queste cose.”
“Mi insulti, Pollia, non mi piace. So perfettamente che è probabile che tu ti sia schierata con i miei accusatori. Tu sei una schiava, dopotutto.”
“Questo non significa niente.”
“Significa che brami la libertà più di ogni altra cosa. Questo è il tuo ruolo nella vita. Perciò è lecito pensare che tu farai ogni cosa in tuo potere pur di tornare nella tua terra natale. È comprensibile ed è logico.”
“E se non fosse vero?”
“Allora saresti una strana schiava. Ne ho viste di donne a quelle aste. Ne ho viste tante. Nude, trattate come bestiame e vendute come oggetti. Allo stesso modo degli uomini.”
“E la cosa come ti faceva sentire?”
“Potente” rispose lei guardandomi negli occhi.
“Potente? Perché?”
“Perché io non sono come loro e per questo posso fare di più di loro. Questo potere posso usarlo per cambiare Roma, trasformarla in qualcosa di nuovo. Nessuno di voi schiavi potrebbe mai ottenere un simile potere, neanche se si ribellasse.”
“Uno schiavo ribelle può cambiare un intero impero.”
“Sagace,” commentò lei con un sorriso di approvazione “tuttavia è falso. Uno schiavo ribelle non avrebbe interesse a cambiare le istituzioni di una città, egli preferirebbe bruciarla e gettarla nel caos piuttosto che fare un compromesso con essa. Pensa a Spartaco. La libertà, per uno schiavo conta di più dell’ordine e per questo egli è incapace di capire come cambiare una società. Egli riduce il cambiamento ad una temporanea condizione del suo ego: o è libero o manca di libertà. Anche tu sei così Pollia.”
“E credi che questo giustifichi il modo in cui ci trattate? Parli bene, Livia, ma sai di camminare sulla schiena degli schiavi. Le persone come te sono ingiuste.”
Non l’avevo mai chiamata per nome prima e lei non ci fece neanche caso.
“Giusto e sbagliato non significano niente per me. Credi che sia giusto che una schiava viva in una villa e che possa mangiare del cibo sano e che possa dormire in un letto e che possa fare il bagno con la sua padrona, mentre un altro schiavo lavora in miniera?”
“Ma non ho scelto io di stare in questa villa.”
“Ma hai scelto di non scappare. Hai scelto di vivere in quel minimo lusso che ti era concesso piuttosto che ribellarti e ripetere le azioni di Spartaco. Quindi questo cosa ti rende? E che mi dici di quegli schiavi che sono stati liberati? Hanno mai combattuto per coloro che sono schiavi adesso? No? Allora significa che parlare di giusto e sbagliato non serve a niente.”
“E allora cosa ti interessa, imperatrice Livia Drusilla Claudia? Se non sei interessata alla giustizia a cosa sei interessata?”
“Cambiamento. Io voglio ottenere qualcosa di materiale. Voglio cambiare Roma. Sono la prima donna in questa posizione e non voglio essere l’ultima.”
“E poi? Cosa succederà poi?”
Lei sorrise. Non mi rispose. Mi disse di seguirla fuori dall’abitazione. Si era appena sollevato un vento caldo e il sole illuminava quel bellissimo ma agghiacciante volto. Livia mi guardò e mi domandò:
“Tu credi che io abbia ucciso Marcello?”
“Perché avresti dovuto farlo?”
“Forse perché era un ostacolo per far salire al trono una persona scelta da me. Forse perché era troppo spavaldo e rivoltoso per i miei gusti. Forse perché ero arrabbiata con lui per una qualche ragione triviale. Avrei avuto diverse ragioni per ucciderlo, in realtà.”
“Vuoi che io ti accusi?”
“Voglio una risposta. Sì o no.”
“Perché da me?”
“Ti conosco da tanto tempo ormai, ti considero parte della mia famiglia e so che tu conosci me, sai forse troppe cose di me. In momenti come questo il mio potere vacilla, i più stolti e i più arroganti, fanno la fila solo per screditarmi e per mettermi in cattiva luce. Non posso fidarmi di nessuno.”
“Tuo marito è l’imperatore, no? Potrebbe fare qualcosa per aiutarti.”
“Ottaviano è un grande uomo, ma non sono così sciocca da pensare che lui dia più valore a me che alla sua immagine pubblica.”
“E le matrone?”
“Sono sgualdrine. Sono finte. Non avrebbero problemi a pugnalarmi alla schiena.”
“Hai anche un circolo di persone fidate, no?”
“Sì, ed io so che stanno dalla mia parte. Quindi chi rimane?”
“Io.”
“Acuta” commentò lei con un sorriso falsamente sorpreso.
“E cosa vuoi che dica?”
“Io non lo so. Dimmi tu. Dammi una risposta. Sì o no.”
“Potrei rispondere ‘no’ per avere salva la vita, non credi?”
“Ma potresti rispondere ‘sì’ per metterti contro di me, la tua padrona.”
Non voleva lasciarmi. Mi sentivo come in una tela del ragno e lei era lì, davanti a me, in attesa di una risposta decisiva.
Io però conoscevo quella donna. Non era una sconosciuta, era la stessa Livia con cui passavo ogni momento della giornata, era la stessa ragazza che accompagnavo per le strade di Roma, ed era la stessa donna con cui mi intrattenevo in lunghi dialoghi.
Poi capii che cos’era quello. Quella domanda non me l’aveva fatta a caso. Era come un banco di prova, voleva capire chi era leale a lei e chi no e soprattutto voleva sapere fino a che punto poteva fidarsi di me. Era tutto preparato sin dall’inizio. Eravamo le uniche in quell’abitazione, gli altri erano fuori, io avrei potuto tradirla tranquillamente e andarmene, dopotutto lei era conscia di essere più fragile di me. Era ovvio. Praticamente mi aveva consegnato un pugnale e mi stava dando la possibilità di scegliere se ucciderla oppure se risparmiarla.
Non era una donna sciocca, non lo era per niente.
Io allora presi la mia decisione e le risposi:
“Non ha importanza se tu hai ucciso o no Marcello, l’importante è che non sia più in circolazione.”
Lei sorrise. Approvò la mia risposta. Mi abbracciò come una madre, mi accarezzò la testa e mi disse:
“Finalmente hai capito. Finalmente hai capito tutto, mia cara Pollia. Ora sì che posso davvero fidarmi di te.”