venerdì 23 ottobre 2020

La prima imperatrice - Tito Veturio

Ero stato mandato sul Palatino per incontrare l’imperatore Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto su richiesta di Aulo Vibio. Non avevo mai incontrato l’imperatore di persona e quando mi venne detto di fargli visita, io rifiutai; poi mi venne promessa un’ingente somma di denaro e come ogni brav’uomo Romano, e padre di famiglia, non potevo di certo rifiutare una simile offerta.
Tuttavia, a pochi passi dalla modesta abitazione sul Palatino, il mio cuore iniziò a sobbalzare dalla paura. Stavo per fare la conoscenza dell’uomo più potente del mondo e non solo, ero stato mandato con il preciso compito di fare una richiesta di denaro per pagare dei soldati che avrebbero dovuto accompagnare Aulo Vibio in un viaggio da Roma fino a Bononia, per portare delle merci di valore.
Ero davanti alla soglia pronto ad attraversarla con un piede, mi tirai indietro e ripetei a me stesso di farmi forza; non potevo concedermi il lusso di fare delle pessime figure dinnanzi all’imperatore figlio di Giulio Cesare. Ero sul punto di fare marcia indietro e tornare da Aulo Vibio, restituirgli i soldi e cambiare lavoro, quando vidi entrare un giovane uomo. Egli mi aveva ignorato all’inizio ma poi si girò verso di me e mi domandò:
“Sei un messaggero?”
“No …” risposi io con una voce roca.
“Allora come posso aiutarti?” il suo era un atteggiamento amichevole.
“Io … ehm …” Mi rischiarii la voce tossendo e poi dissi: “Sto cercando l’imperatore.”
“Allora entra. Non startene lì come uno scemo” disse sorridendo.
“Grazie.”
Entrai in quella casa che non sembrava per niente l’abitazione di un imperatore. Era piuttosto umile: non c’erano troppe decorazioni, non c’erano oggetti pregiati ed era anche più piccola di quello che avrei immaginato. Il giovane uomo mi accompagnò.
“Come ti chiami?” mi domandò.
“Tito Veturio.”
“Marco Claudio Marcello, ma tu puoi chiamarmi Marcello.”
Era il nipote dell’imperatore, ne ero sicuro. Quando venni a conoscenza della sua identità iniziai ad agitarmi ma lui, rendendosi conto della mia reazione, mi diede una pacca sulla spalla e mi rassicurò:
“Tranquillo non mordo.”
“E che mi dici dell’imperatore?”
“Lo scoprirai sulla tua pelle” disse ridendo.
Finalmente raggiungemmo quell’uomo vestito con umili abiti, simili a quelli di un plebeo, che se ne stava seduto a mangiare della frutta in silenzio. Il suo volto era asciutto, aveva i capelli bruni ben acconciati e i suoi occhi scuri stavano ammirando il panorama al di fuori della finestra. Marcello si avvicinò per primo, salutò e mi presentò:
“Questo è Tito Veturio. Vuole parlare con te.”
“Di che cosa?”
Aveva una voce più leggera di quella che mi sarei aspettato da un uomo di potere. Alcuni lo paragonavano ad una divinità, altri dicevano che era un messia, ma la sua giovane voce era poco divina e non s'addiceva ad un uomo di potere; eppure bastò un suo sguardo per mettermi in soggezione. Mi stava scrutando, stava cercando di capire che tipo fossi. Non mi fece domande, mi guardò e basta.
Il suo sguardo era intenso, non era malvagio, era pacato come quello di un saggio ma anche colmo di sicurezza; quella era l’occhiata di un uomo che sapeva di avere il mondo in mano.
Egli disse:
“Avvicinati.”
“Sono lieto di fare la sua conoscenza, imperatore Augusto!” esclamai io come un ebete.
“Certamente, ma cosa vuoi da me?”
“Io … sono qui su richiesta di Aulo Vibio. Ha bisogno di soldi per almeno venti uomini che dovranno proteggere un … ehm … un carico di merci molto preziose.”
“Di che cosa stiamo parlando?”
“Statue e vasellame. Devono essere portate a Bononia.”
“Mm.”
Augusto guardò Marcello appoggiando il mento sul palmo della mano. Guardò me e poi di nuovo Marcello.
“Non posso spendere dei soldi senza un’attenta valutazione. Chiederò alla persona che si occupa delle finanze.”
L’imperatore si sollevò e lasciò la stanza solo per un attimo. Marcello, intanto, si avvicinò a me, mi diede una lieve gomitata e mormorò:
“Bella figura.”
Era sarcastico.
“Lo so, ho fatto schifo” risposi io.
“Se lo dimenticherà. E poi anche lui tende ad essere un po’ impacciato con gli sconosciuti, è solo che cerca di non darlo a vedere.”
Livia Drusilla Claudia
Poi vidi tornare Augusto insieme ad una donna e la cosa mi lasciò di stucco. Era una giovane donna vicina alla trentina, anche lei era molto umile come l’imperatore: non indossava gioielli e i suoi vestiti erano molto scuri. Aveva i capelli di un bruno acceso e i suoi occhi erano celesti. Quando l’imperatore si sedette, lei si accomodò vicino a lui.
“Iniziamo?” domandò l’imperatore.
“E dov’è quello che gestisce il denaro?”
“Qui” rispose lui indicando la donna.
Rimasi sinceramente scioccato nell’apprendere che a gestire i soldi a casa dell’imperatore fosse proprio una donna. Lei, notando il mio atteggiamento contrariato, sollevò un sopracciglio, poi sospirò e infine disse:
“Costui è una perdita di tempo. Non darei mai dei soldi ad uno che ha la faccia di uno scriteriato.”
Aveva una voce bellissima ma quello che disse fu talmente veloce e tagliente da lasciarmi senza parole.
“Ne sei sicura, Livia?”
“Sicurissima. Abbiamo finito, quindi?”
Il nome di quella donna era Livia, quindi lei era l’imperatrice Livia Drusilla Claudia. Avevo sentito parlare di lei, sapevo ad esempio che molte matrone la rispettavano tantissimo, talmente tanto da volerla emulare; ma non avevo mai visto quegli occhi penetranti come quelli di un lupo e scaltri come quelli di una volpe.
Livia era sul punto di andare quando Marcello intervenne in mio favore:
“In realtà lui rappresenta qualcun altro.”
Lei lo fulminò con gli occhi e disse, freddamente:
“E chi? Un qualche stolto che vuole farci sprecare denaro come plebei nella taverna? Il tesoro di Roma non verrà sperperato da inetti.  Spero di essere stata abbastanza chiara, Marcello.”
“Chiarissima, tuttavia qui si sta parlando di statue e vasi.”
“Esattamente!” esclamai io.
“Ma davvero? E dove dovrebbero arrivare?”
“Bononia. Ma si tratta di un carico troppo prezioso per rischiare di farlo viaggiare senza l’adeguata protezione.”
“E il tuo capo? Non potrebbe pensarci lui?”
“Lui è molto pignolo e, se devo essere sincero, è un po’ paranoico … comunque desidera avere dei soldati esperti non dei banalissimi mercenari.”
“E noi cosa ci guadagniamo?”
Lei era davvero una scheggia a fare delle domande ed io faticavo a tenerle testa; stavo letteralmente sudando come in una giornata estiva.
“Le statue … che ...” persi le parole per un attimo.
“Coraggio,” disse lei “convinci questa donna a investire su di te, sempre che tu ci riesca. Diffido sempre degli incompetenti, sono loro che creano problemi.”
“Le statue … rappresentano sia l’imperatore che lei, mia imperatrice, ci sono anche statue di Giulio Cesare e il vasellame ha dei ritratti mitologici. Il beneficio non sarà monetario ma alimenterà la vostra fama. È un contributo al vostro potere.”
Lei rimase in silenzio.
“Che ne pensi?” domandò Marcello.
“A me sembra accettabile” aggiunse Augusto.
Lei non aveva ancora detto una parola. Mi guardò con quegli occhi perforanti, strinse di poco le palpebre e abbassò le sopracciglia; mi stava studiando come un lupo che si prepara ad azzannare la preda.
In quel momento entrò un altro uomo che doveva parlare con Augusto, l’imperatore si alzò e ordinò a Marcello di seguirlo in un’altra stanza. Rimasi da solo con Livia.
Lei era in piedi e continuava a fissarmi. Mi agitai e la prima cosa che feci fu guardare verso l’uscita, ero pronto a buttarmi fuori da quella casa.
“Come ti chiami?” domandò Livia.
“Tito … Veturio” risposi io, con un modo un po’ impacciato.
“Mi ricorderò di questo nome. Sembri un cretino ma forse è solo l’apparenza.”
“Quindi …”
“Dì al tuo capo che avrà i soldi per quelle guardie.”
“Grazie. Apprezzo moltissimo questa gentilezza.”
Mi voltai per uscire.
“Veturio,” disse lei “un’ultima cosa.”
“Sì?”
“Ho visto come mi guardavi, so che forse non ti piace l’idea di avere a che fare con una donna di potere ma sappi questo: io sono la prima e non sarò l’ultima. Un giorno, a Roma, donne e uomini regneranno fianco a fianco con pari poteri e quel giorno una nuova alba splenderà sul mondo.”
“Un bel sogno, su questo non ci sono dubbi.”
“Credi che sia solo un sogno?” mi chiese sorridendo con compassione.
“Trovo che sia complicato, tutto qui.”
“Qualcosa che è complicato non è impossibile. Guardami negli occhi, guarda chi sono e dimmi ancora che è solo un sogno ciò che voglio costruire.”
Non seppi cosa dire a quel punto. Non aveva torto. Lei era arrivata dove nessuna donna Romana era riuscita a giungere, aveva conquistato una posizione di potere che nessuna donna Romana aveva mai ottenuto. Forse lei rappresentava davvero l’inizio di qualcosa di nuovo.
Lasciai quell’abitazione con la chiara immagine, nella mia testa, dei suoi occhi celesti, penetranti, intelligenti e potenti.
Alla fine diedi la buona notizia ad Aulo Vibio e la spedizione fu un successo. Non mi si presentò più l’occasione per visitare la modesta abitazione sul Palatino. Diversi anni più tardi venni a conoscenza della triste morte di Marco Claudio Marcello, cosa che mi lasciò con dell’amaro in bocca, e l’imperatrice venne sospettata di averlo assassinato. Io non ero fra quelli che dubitavano della sua sincerità, anzi, non avrei mai potuto accusare una figura come lei; andando avanti con gli anni, nella mia mente, si delineò l’immagine di un’imperatrice perfetta e pura come una vestale; alla fine venni persino travolto dalle crisi d’amore tipiche di un uomo che non ha quello che desidera. Volevo rivederla. Volevo rivedere quella donna perfetta, quella perfetta imperatrice. Volevo parlare ancora con lei.
Rinunciai alla famiglia e ai figli pur di stare da solo con l’immagine dell’imperatrice perfetta che, nella mia mente, mi stava attendendo nella sua umile abitazione.
Ma non la rividi mai più.