Roma è due cose: potere e civiltà. I nemici di Roma vengono sempre sconfitti e gli alleati di Roma godono sempre di grandi ricchezze.
L’imperatore Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto, salvatore della patria in Occidente e messia in Oriente, quando sposò quella gracile ragazza dall’aspetto umile attuò, di fatto, una manovra politica per ottenere più prestigio a Roma. La famiglia di Livia Drusilla era molto abbiente ed io ero sicura che Ottaviano avrebbe sfruttato quella fanciulla per aumentare il suo potere personale.
Ero serva di Ottaviano da quando lui era un ragazzino e quando visitai la dimora di sua moglie rimasi colpita dalla modestia di entrambe. Livia, con le sue vesti scure, mi accolse con un timido sorriso e quello fu il momento in cui ebbi paura di lei.
Avevo avuto il privilegio di conoscere Gaio Giulio Cesare di persona, quand’egli era ancora in vita, e tanto era una persona simpatica quanto spaventosamente fredda. Il suo sorriso irradiava gioia ma i suoi occhi erano quelli di un grammatico, un calmo e astuto calcolatore, un uomo dall’intelligenza disumana.
Era consuetudine vedere nel giovane Ottaviano l’anziano Giulio Cesare, ma solo una donna con tanta esperienza come me poteva notare le minuzie che aprivano un divario fra i due uomini. Ottaviano non era freddo come Cesare, era molto più sensibile di lui, molto più gracile, non era una persona estremamente razionale, seguiva il cuore ed era uno che non amava prendere rischi. Il nome di Cesare era sinonimo di azzardo, egli amava giocare a dadi con la Fortuna e usare il suo ingegno per uscire vincitore da ogni situazione.
Ero serva di Ottaviano da quando lui era un ragazzino e quando visitai la dimora di sua moglie rimasi colpita dalla modestia di entrambe. Livia, con le sue vesti scure, mi accolse con un timido sorriso e quello fu il momento in cui ebbi paura di lei.
Avevo avuto il privilegio di conoscere Gaio Giulio Cesare di persona, quand’egli era ancora in vita, e tanto era una persona simpatica quanto spaventosamente fredda. Il suo sorriso irradiava gioia ma i suoi occhi erano quelli di un grammatico, un calmo e astuto calcolatore, un uomo dall’intelligenza disumana.
Era consuetudine vedere nel giovane Ottaviano l’anziano Giulio Cesare, ma solo una donna con tanta esperienza come me poteva notare le minuzie che aprivano un divario fra i due uomini. Ottaviano non era freddo come Cesare, era molto più sensibile di lui, molto più gracile, non era una persona estremamente razionale, seguiva il cuore ed era uno che non amava prendere rischi. Il nome di Cesare era sinonimo di azzardo, egli amava giocare a dadi con la Fortuna e usare il suo ingegno per uscire vincitore da ogni situazione.
Se Cesare, nella sua razionalità, era libero come l’aquila; Ottaviano, nella sua irrazionalità, era conservatore e fedele come un segugio.
Quando io vidi lo sguardo di Livia Drusilla … vidi Cesare. Il Fato aveva messo Ottaviano vicino a Giulio Cesare di nuovo. Ma cosa mai poteva essere una donna con quella vivace intelligenza?
Quando misi in guardia Ottaviano lui derise le mie preoccupazioni e mi disse:
“Manca delle qualità di un uomo, è carente della virtù, come può essere identica a mio padre?”
Un giovane come Ottaviano era tanto ambizioso quanto arrogante, talmente superbo da non vedere ciò che si presentava dinnanzi ai suoi occhi. Una donna dalla veneranda età come me non si sarebbe mai fatta inquietare da una giovane fanciulla inesperta; ma Livia Drusilla indossava diverse maschere, come un attore, ed il suo teatro era il mondo. Il finto volto della timida ragazza mi aveva tratto in inganno, ma non solo me anche le altre matrone rimanevano intrappolate in quella tela.
“Come può un simile fiore essere pericoloso?”
Quelle rispettabili matrone erano state ingannate dai docili occhi di Livia e senza rendersene conto la emulavano nei modi e nelle usanze, per il puro gusto di essere come lei. E se le donne, spesso più competitive degli uomini, diventavano succubi di quella fanciulla, immaginate i grandi politici di Roma. Costoro, più folli delle matrone, concedevano a Livia ogni lusso e le davano più libertà di ogni altra donna. Criticarla equivaleva ad offenderla, farle i complimenti significava entrare in quella forma abnorme di culto religioso che aveva messo le radici nella nostra città.
I poeti componevano per lei versi romantici ed erotici, così entrò nelle fantasie perverse del popolo e venne trasformata in una Venere vivente. Ma mai quella ragazza mostrò una nudità al pubblico, anzi, il semplice rappresentarla nuda era un insulto alla sua bellezza; si diffuse quella bizzarra diceria secondo la quale era criminale tentare di rappresentare l’indescrivibile. Mai avevo udito simili sciocchezze nella mia vita. Persino la bella Cleopatra d’Egitto era spesso scolpita ignuda eppure Livia non subì mai il medesimo onore.
Quando la donna si levava la maschera allora mostrava il suo vero aspetto. In casa tiranneggiava come una regina, le sue serve dovevano seguire regolamenti talmente ferrei da far sembrare le catene di ferro un confortevole abbigliamento; gli uomini che appartenevano alla sua cerchia privata, i suoi fedelissimi leccapiedi, erano persino più servili degli schiavi e in Livia vedevano una perfezione che i miei occhi non coglievano.
Ma non era una donna sciocca. I suoi fantocci mancavano di dignità ma costei ne era ripiena dal capo fino ai piedi; era giovane ma aveva lo stesso orgoglio di un’anziana matrona. I suoi occhi erano penetranti e non parlava mai troppo, tuttavia quando apriva bocca diceva sempre le cose più sensate. Livia era acculturata come un intellettuale ma sapeva come nasconderlo a suo marito; in pubblico era lui che doveva sembrare il più intelligente e il più potente, lei era ben lieta, forse un po’ troppo, di emulare la sottomissione. Era scaltra proprio come Giulio Cesare.
Dove lei indicava il marito andava e così anche il popolo.
Con uno sguardo era capace di zittire chiunque, con una movenza di mani esortava le persone a sparire dalla sua vista e con un sorriso compiaciuto trasformava il mortale in divino.
“Sarà domani.”
Ero impegnata a svolgere delle attività domestiche quando la sentii proferire quelle parole mentre osservava il panorama fuori dalla finestra.
“Ha detto qualcosa?” finsi di non aver capito.
“Domani sarà un giorno molto importante, Sabina.”
“Davvero? Cosa succederà domani?”
Lei mi sorrise ma non mi rispose.
Da quello che so il giorno seguente non accadde nulla di particolarmente strano. Ma quel breve scambio di parole fra noi due capitò sei giorni prima della triste morte di Marco Claudio Marcello. Io non potevo di certo andare in giro a dire che sospettavo di Livia Drusilla, ma ciò non implicava che io non sospettassi di lei, anzi, io ero sicurissima che fosse stata lei ad aver ordinato il suo assassinio.
Una schiava al servizio di Livia, una certa Pollia, mi disse che non c’era ragione di dubitare dell’innocenza dell’imperatrice. Io fiutavo che fra le due vi fossero stati dei complotti e la cosa, in realtà, non mi sembrava neanche tanto strana. Non conoscevo bene Pollia, ero informata solamente delle sue presunte origini galliche, ma per il resto quella donna era un mistero per me. Pollia passava molto tempo con Livia, così tanto che fra gli schiavi girava voce di rapporti illeciti fra le due; anche se personalmente non oserei mai condannare l’amore fra due donne o fra due uomini, il pensare all’imperatrice come ad una persona infedele mi faceva ridere. L’assurdità di tali dicerie era tale da mettere un sorriso persino ad una scontrosa come me.
Ma ogni leggenda poteva avere un fondo di verità. L’intimità delle due donne forse non era fisica ma intellettuale. Livia passava il tempo solo con le persone che riteneva brillanti e probabilmente per questa ragione godeva della compagnia di Pollia, ma questo non avrebbe fatto altro che giustificare i miei sospetti concernenti una possibile cospirazione di quelle due per eliminare Marcello.
Non osai indagare per paura di perdere la testa … letteralmente.
Nonostante la morte di Marcello avesse sollevato un polverone a Roma, l’imperatrice Livia Drusilla Claudia rimase al potere e nessuno osò più parlare di quel defunto. Tutto ritornò alla normalità.
Quando io vidi lo sguardo di Livia Drusilla … vidi Cesare. Il Fato aveva messo Ottaviano vicino a Giulio Cesare di nuovo. Ma cosa mai poteva essere una donna con quella vivace intelligenza?
Quando misi in guardia Ottaviano lui derise le mie preoccupazioni e mi disse:
“Manca delle qualità di un uomo, è carente della virtù, come può essere identica a mio padre?”
Un giovane come Ottaviano era tanto ambizioso quanto arrogante, talmente superbo da non vedere ciò che si presentava dinnanzi ai suoi occhi. Una donna dalla veneranda età come me non si sarebbe mai fatta inquietare da una giovane fanciulla inesperta; ma Livia Drusilla indossava diverse maschere, come un attore, ed il suo teatro era il mondo. Il finto volto della timida ragazza mi aveva tratto in inganno, ma non solo me anche le altre matrone rimanevano intrappolate in quella tela.
“Come può un simile fiore essere pericoloso?”
Quelle rispettabili matrone erano state ingannate dai docili occhi di Livia e senza rendersene conto la emulavano nei modi e nelle usanze, per il puro gusto di essere come lei. E se le donne, spesso più competitive degli uomini, diventavano succubi di quella fanciulla, immaginate i grandi politici di Roma. Costoro, più folli delle matrone, concedevano a Livia ogni lusso e le davano più libertà di ogni altra donna. Criticarla equivaleva ad offenderla, farle i complimenti significava entrare in quella forma abnorme di culto religioso che aveva messo le radici nella nostra città.
I poeti componevano per lei versi romantici ed erotici, così entrò nelle fantasie perverse del popolo e venne trasformata in una Venere vivente. Ma mai quella ragazza mostrò una nudità al pubblico, anzi, il semplice rappresentarla nuda era un insulto alla sua bellezza; si diffuse quella bizzarra diceria secondo la quale era criminale tentare di rappresentare l’indescrivibile. Mai avevo udito simili sciocchezze nella mia vita. Persino la bella Cleopatra d’Egitto era spesso scolpita ignuda eppure Livia non subì mai il medesimo onore.
Quando la donna si levava la maschera allora mostrava il suo vero aspetto. In casa tiranneggiava come una regina, le sue serve dovevano seguire regolamenti talmente ferrei da far sembrare le catene di ferro un confortevole abbigliamento; gli uomini che appartenevano alla sua cerchia privata, i suoi fedelissimi leccapiedi, erano persino più servili degli schiavi e in Livia vedevano una perfezione che i miei occhi non coglievano.
Ma non era una donna sciocca. I suoi fantocci mancavano di dignità ma costei ne era ripiena dal capo fino ai piedi; era giovane ma aveva lo stesso orgoglio di un’anziana matrona. I suoi occhi erano penetranti e non parlava mai troppo, tuttavia quando apriva bocca diceva sempre le cose più sensate. Livia era acculturata come un intellettuale ma sapeva come nasconderlo a suo marito; in pubblico era lui che doveva sembrare il più intelligente e il più potente, lei era ben lieta, forse un po’ troppo, di emulare la sottomissione. Era scaltra proprio come Giulio Cesare.
Dove lei indicava il marito andava e così anche il popolo.
Con uno sguardo era capace di zittire chiunque, con una movenza di mani esortava le persone a sparire dalla sua vista e con un sorriso compiaciuto trasformava il mortale in divino.
“Sarà domani.”
Ero impegnata a svolgere delle attività domestiche quando la sentii proferire quelle parole mentre osservava il panorama fuori dalla finestra.
“Ha detto qualcosa?” finsi di non aver capito.
“Domani sarà un giorno molto importante, Sabina.”
“Davvero? Cosa succederà domani?”
Lei mi sorrise ma non mi rispose.
Da quello che so il giorno seguente non accadde nulla di particolarmente strano. Ma quel breve scambio di parole fra noi due capitò sei giorni prima della triste morte di Marco Claudio Marcello. Io non potevo di certo andare in giro a dire che sospettavo di Livia Drusilla, ma ciò non implicava che io non sospettassi di lei, anzi, io ero sicurissima che fosse stata lei ad aver ordinato il suo assassinio.
Una schiava al servizio di Livia, una certa Pollia, mi disse che non c’era ragione di dubitare dell’innocenza dell’imperatrice. Io fiutavo che fra le due vi fossero stati dei complotti e la cosa, in realtà, non mi sembrava neanche tanto strana. Non conoscevo bene Pollia, ero informata solamente delle sue presunte origini galliche, ma per il resto quella donna era un mistero per me. Pollia passava molto tempo con Livia, così tanto che fra gli schiavi girava voce di rapporti illeciti fra le due; anche se personalmente non oserei mai condannare l’amore fra due donne o fra due uomini, il pensare all’imperatrice come ad una persona infedele mi faceva ridere. L’assurdità di tali dicerie era tale da mettere un sorriso persino ad una scontrosa come me.
Ma ogni leggenda poteva avere un fondo di verità. L’intimità delle due donne forse non era fisica ma intellettuale. Livia passava il tempo solo con le persone che riteneva brillanti e probabilmente per questa ragione godeva della compagnia di Pollia, ma questo non avrebbe fatto altro che giustificare i miei sospetti concernenti una possibile cospirazione di quelle due per eliminare Marcello.
Non osai indagare per paura di perdere la testa … letteralmente.
Nonostante la morte di Marcello avesse sollevato un polverone a Roma, l’imperatrice Livia Drusilla Claudia rimase al potere e nessuno osò più parlare di quel defunto. Tutto ritornò alla normalità.
Livia è due cose: potere e intelligenza. I nemici di Livia vengono sempre
uccisi e gli alleati di Livia godono sempre di grandi privilegi.