«Immanuel?»
Era una voce famigliare. La voce di un’amica. Quando Immanuel aprì gli occhi si trovò davanti la faccia di Selene Renier. Lo sguardo ansioso di lei lo incitò ad alzarsi velocemente.
«Sto bene … sto bene» esclamò pulendosi la giacca.
«Perché sei qui? Pensavo che fossi andato a fermare Galorian.»
Lui non rispose subito. Non sapeva come dirle quello che aveva vissuto, non sapeva neanche come avrebbe reagito.
Immanuel si allontanò da Selene con un modo impacciato. Lei, con un’acutezza degna di un’aquila, intuì subito che l’amico le stava nascondendo qualcosa di grave; non gli fece pressioni. Accennando alla porta di legno alle sue spalle, domandò:
«Vuoi bere qualcosa?»
Lui assentì ed i due abbandonarono quell’abitazione di pietra.
Milawata era un’area della Torre abitata da centinaia di edifici che sembravano essere figli dell’Antica Grecia. Attorno a quell’insediamento sorgeva il Bosco delle Ninfe.
Le persone che vivevano a Milawata indossavano abbigliamenti di varie salse: c’era chi preferiva indumenti all’antica e ovviamente c’erano anche coloro che portavano vestiti più moderni.
Immanuel, sentendo un caldo marittimo mescolato con un sottile odore di costa, venne colpito da una forte nostalgia.
«Bentornato a casa, Immanuel» disse Selene.
«Casa dolce casa …» mormorò lui assaporando con gli occhi la bellissima Milawata, illuminata dal sole.
«Molte cose sono cambiate da quando sei partito» asserì lei. «Quanto tempo è? Sette, nove mesi? Il tempo è volato.»
«Come mi hai trovato?» domandò lui interessato.
«Eri sdraiato sul pavimento di casa mia. Eri addormentato. Quando sono rientrata ti ho trovato lì. Ma come ci sei arrivato? È un nuovo potere? È stata opera di Galorian?»
«No … è … complicato.»
«Lo immaginavo. Non hai intenzione di spiegarmi che cosa è successo?»
«Prima sediamoci … è una storia lunga» rispose lui.
I due entrarono in una taverna. Il proprietario accolse Immanuel con lo stesso affetto di un padre commosso; ad entrambi offrì il tavolo migliore, su una terrazza con una buona panoramica. Quando i due boccali di birra raggiunsero la tavola, iniziarono le domande di Selene:
«Puoi spiegarmi che cosa è successo? Sei riuscito o no ad uccidere Galorian?»
«No» rispose lui con rammarico. «Ho fallito.»
«Allora … cosa ci fai qui?» domandò confusa.
«Ecco … è … difficile da spiegare …»
«Tu fallo» ordinò lei con uno sguardo autoritario.
«Ero riuscito a trovare Galorian a Twangste, dopo mesi di ricerca. Avevo preparato un piano per ucciderlo ma le cose non sono andate per il meglio, anzi, la mia intera strategia è stata completamente neutralizzata.»
«In che senso?»
«Galorian si è fatto costruire una specie di arma che è in grado di inibire i nostri poteri.»
Lei non disse niente, ma i suoi occhi esprimevano un dubbio gravemente marcato.
«Lo so, è difficile da concepire» fece lui grattandosi il capo. «Ma è così e … beh, non è tutto.»
«Cos’altro c’è?»
«Sono morto.»
Calò un silenzio da funerale. Selene aveva gli occhi e la bocca spalancati. Non emise neanche un verso.
«Sono stato ucciso da Galorian ma … sono stato riportato in vita.»
«Sì …? Ehm … e chi è stato a …»
«Una certa Hush de Void. Non saprei come definirla … forse è una specie di divinità, ma mi ha dato una seconda possibilità che non ho intenzione di sprecare.»
«Quindi sei qui per vendicarti?»
«Già … se solo fosse così semplice …» borbottò lui.
«Cosa significa?»
«Hush de Void vuole che prima io faccia qualcosa per lei, altrimenti mi farà esplodere. Letteralmente.»
Selene fece un respiro profondo e svuotò il boccale di birra in un unico sorso. Non appena il boccale picchiò contro il legno, lei esclamò:
«Queste sono tante cose da digerire, Immanuel. Un po’ troppe …» Una breve pausa. «Tanto per cominciare, non ho mai sentito parlare di questa Hush de Void. Non credo che sia una divinità. Ci sono solo sette dèi, e nessuno di loro porta quel nome.»
«Lo so. Mi rendo conto che sia difficile credermi sulla parola … ma tutto quello che ti sto dicendo è vero.»
«Non capisci, non è un problema di fiducia …» fece lei dopo aver rubato il bicchiere di Immanuel. Consumò anche la seconda dose di birra. «Io mi fido di te, mi sono sempre fidata di te. Insieme, io e te, abbiamo combattuto contro demoni di ogni tipo e abbiamo protetto il Sacro Fuoco. Ma sentirti dire che sei morto è … strano. Insomma, io ti ho visto affrontare nemici peggiori di Galorian. Come ha fatto quel verme a …» si corresse «giusto, ha usato quell’arma di cui hai parlato. Ma come l’ha ottenuta? Gli è stata regalata insieme alle sue palle?»
«Demoni. Da quello che so c’è lo zampino di un demone chiamato Agares.» Fece una breve pausa seguita da un pesante sospiro preoccupato. «Senti, Selene, il Sacro Fuoco … è ancora protetto dal Muro di Gaia?»
«Sì, perché?»
«Galorian vuole spegnere il Sacro Fuoco. Ecco perché si alleato con Agares.»
«Figlio di-!» Selene lanciò il boccale di vetro giù dalla terrazza. Il suo volto, dipinto dalla rabbia, si placò dopo qualche minuto. La donna tirò un sospiro nervoso. «Dobbiamo fermarlo.»
«Lo so.»
«Noi siamo stati scelti per difendere il Sacro Fuoco dalle forze del Caos.»
«So anche questo.»
«Ma sono passati due anni dalla Guerra della Breccia. Avevamo distrutto l’Albero del Caos. Come ha fatto Agares ad entrare nella Torre?»
«Non lo so» rispose amareggiato. «Non ne ho idea. Senza l’Albero del Caos, nessun demone può entrare nella Torre. Eppure … eppure Agares ha trovato un modo, ed ora collabora con Galorian.»
Selene abbandonò il tavolo senza dire una parola.
Immanuel seguì l’amica fuori dalla taverna e in casa di lei. Selene prese da un vecchio baule il suo fidato arco, con il quale aveva ucciso centinaia di creature immonde, e, con uno sguardo determinato, asserì:
«Poniamo subito fine a questa storia. Qualsiasi cosa sia successa, non possiamo lasciare che un demone attacchi il Muro di Gaia. Il Sacro Fuoco deve rimanere acceso.»
«Hai ragione, ma io non posso aiutarti. Devo prima portare a termine l’incarico che mi è stato assegnato» disse senza nascondere il suo rammarico.
«L’ho capito subito, ma questo non cambia le cose. Tu per primo dovresti sapere quanto è stato difficile ergere quella muraglia magica. Se dovesse essere distrutta … sarebbe la fine» concluse con un tono cupo.
Lei aveva ragione. Immanuel lo sapeva. Ovviamene l’idea di lasciar partire la sua migliore amica lo rattristiva, ma non poteva impedirle di proteggere il Sacro Fuoco. Per questo erano stati scelti dai Sette Divini, il loro scopo era quello di difendere il Sacro Fuoco da ogni minaccia.
Selene stava soltanto svolgendo il suo dovere. Immanuel ne era conscio; mise a tacere il suo sconforto e, appoggiando una mano sulla spalla della donna, disse:
«Non ti impedirò di andare … ma non andarci da sola. È un suicidio.»
«Non sono stupida» borbottò lei. «So perfettamente che avrò bisogno di rinforzi.»
Selene abbandonò l’abitazione insieme all’amico.
Il Bosco delle Ninfe era abitato da altissimi castagni, tozzi ciliegi e antiche querce. Avventurarsi per quelle strade terrose non era pericoloso, al massimo si poteva rischiare di incontrare dei lupi … ma questi non erano mai propensi ad attaccare gli umani.
L’ululato del fresco vento trasportava quell’aroma selvatico che placava il turbato animo di Immanuel.
La sua mente venne abbracciata da immagini di lui e Selene, bambini, che giocavano assieme nel verde.
«Ti ricordi il nostro primo cervo?» domandò Immanuel con lo sguardo assorto nei ricordi.
«Sì» rispose lei sorridendo. «Io ricordo che tu non eri mai stato bravo a cacciare, mentre io ero stata educata da mio padre.»
«Ruppi la corda dell’arco almeno quattro volte.»
«Avvistato il cervo, facesti: “Ci penso io, ci penso io” e, tirato fuori l’arco, strappasti la corda e mi guardasti con due occhioni lucidi» si mise a ridere.
«Non era colpa mia. Erano gli archi ad essere …»
«… troppo fragili» finì la frase con lui. «Ahah! Bei tempi, davvero … era tutto più semplice in passato.»
«Già» fece lui nostalgico. «Se solo si potesse tornare indietro …»
«Non dire questo. Lo sai che non mi piace» rimproverò con gentilezza. «Va bene pensare al passato, ma non possiamo vivere bramando costantemente di tornare indietro. Ciò che è accaduto è accaduto. Dobbiamo andare avanti e vivere la nostra vita.»
«Com’è che recitava il Libro della Verità?» Rifletté un attimo. «Ecco: “Cinquecento anni di vita ti aspettano, cinquecento anni di servitù farai; cinquecento anni di lealtà e amore verso i Sette Divini. Vivi. Muori. Vivi. Muori. Sempre proteggendo il Lume della Ragione”.»
«Questa è la nostra vita. Non possiamo lamentarci.»
Immanuel preferì tacere la verità che aveva imparato da Hush de Void, la verità concernente la reincarnazione. Non aveva intenzione di turbare l’amica, soprattutto non prima di una missione importante.
I due si fermarono ai piedi di un lago cristallino: il Lago delle Ninfe. A destra, su una banchina alle cui spalle era stata eretta un’umile abitazione in legno, c’era un giovane pescatore dal fisico atletico e scuro.
«Ecco perché siamo qui ...» disse Immanuel a bassa voce.
«Se devo andare a caccia di demoni, dovrò portarmi dietro Hortio» asserì lei.
I due avvicinarono il giovane Publius Hortio. Quando egli, immerso nella pesca, vide arrivare i due ex compagni d’arme, fece un salto di gioia e li abbracciò entrambi. Selene fu più propensa di Immanuel a ricambiare l’abbraccio.
«Quanto tempo! Sono lieto di rivedervi!» esclamò lui pieno di entusiasmo.
Hortio, senza troppi indugi, condusse i due nella baracca.
Selene si accomodò su una panchina di legno mentre Immanuel preferì stare in piedi. Publius offrì ad entrambi della zuppa di pesce; solo Selene la mangiò; Immanuel preferì lasciare la scodella sul tavolo.
Publius, dopo essersi seduto, lanciò il suo sguardo a Immanuel.
«Quindi, perché tu sei qui?»
«Tu partirai con Selene e affronterai-»
«Da quando prendo ordini da te?» domandò con tono di sfida. «Non sei mai stato il mio comandante, non presumere di avere qualche autorità su di me.»
«Tu farai il tuo dovere, Hortio» affermò tenendo le braccia conserte.
«Quindi … fammi capire: tu te ne vai per dieci mesi senza dire niente a nessuno, poi ritorni qui e pretendi di avere il diritto di dirmi cosa devo fare?» Fece una breve pausa. «Non hai nessun rispetto per me. Almeno Selene si è degnata di farmi visita una volta al mese, tu dove sei stato?»
«A vendicare la morte di mio fratello!» esclamò Immanuel furente.
«Basta!» tuonò Selene. «Tutti e due! Siamo compagni d’arme, per l’amor dei Sette! Abbiamo affrontato legioni di demoni nella Guerra della Breccia e insieme, noi tre, abbiamo distrutto l’Albero del Caos e costruito il Muro di Gaia.» Fece una veloce pausa. «Dobbiamo sostenerci a vicenda.»
«Non devi farli a me questi discorsi,» Hortio puntò il dito contro Immanuel «ma a lui. Lui è quello che se ne è andato senza dirci niente. Lui è quello che ha tagliato i ponti con noi.»
«Galorian non era mio amico, fosti tu a reclutarlo … ricordi?» domandò Immanuel grave.
Ci fu un momento di silenzio.
«Mi stai accusando?» fece Hortio scioccato. «Non ho colpe per quello che è successo a tuo fratello. È stato Galorian, non io. Come potevo sapere-»
«Era una tua responsabilità!» Immanuel alzò nuovamente il tono della voce. «Tu avresti dovuto informarti sul suo conto prima di reclutarlo. A causa della tua negligenza-»
«Ho detto basta!» Selene sbatté entrambe le mani sul tavolo. «Voi due vi state comportando come bambini! Non è il momento adatto per fare certe discussioni! Se volete picchiarvi come i mocciosi, va bene! Ma adesso abbiamo cose più importanti a cui pensare.»
«Ovvero …?» domandò Hortio confuso.
Selene, allora, spiegò tutta la situazione all’amico.
La reazione di Hortio fu un misto di terrore e preoccupazione; ma entrambe le emozioni vennero scavalcate da un forte sospetto.
Hortio afferrò un tridente, la sua fidata arma, che era attaccato al muro; puntò l’arma verso Immanuel.
Immanuel non accettò l’affronto e si preparò a combattere.
Selene intervenne per placare quello scontro che si stava preannunciando.
«Un morto che ritorna in vita? No, no. Scommetto che c’è lo zampino di un demone» disse Hortio.
«Non lo possiamo sapere, Publius, metti via l’arma» ordinò Selene.
«Non è stato un demone» fece Immanuel aggressivamente. «Quella creatura non era un demone, ne sono sicuro.»
«E perché ti dovrei credere?» protestò Hortio deciso a combattere.
«Fidati di me, Publius … ti puoi fidare di me, no?»
La voce di Selene placò l’animo di Hortio. Egli abbassò l’arma e uscì dall’abitazione, imbarazzato per la reazione avuta.
Immanuel ringraziò la donna ma questa, con un tono freddo, disse:
«Non ringraziarmi, prima o poi dovrai dimostrare di non essere nelle mani di un demone.»
«Quindi anche tu nutri il medesimo sospetto?»
«Il fatto che non abbia avuto un attacco di ira non significa che mi fidi di questa Hush de Void.»
«Selene … sono sicuro che non fosse un demone …»
«Dillo alla tua faccia» controbatté lei accennando con il dito al viso di lui, che esprimeva la più profonda insicurezza.
La donna abbandonò la baracca e si riunì con Publius Hortio.
Il giovane guerriero dai capelli blu si rivolse alla donna con parole di sconforto:
«Non volevo comportarmi in quel modo …»
«Lo so.»
«Mi dispiace, davvero, è solo che … non mi fido di lui.» Fece una lunga pausa. «Pensavo di conoscerlo, ma dopo tutto quello che è accaduto ultimamente … non lo so … non mi sembra più l’uomo che ha combattuto al nostro fianco.»
«Non hai bisogno di giustificarti con me, Publius. Capisco come ti senti e non ti giudico per questo … ma ho bisogno del tuo aiuto.»
«Vuoi convincermi a combattere al tuo fianco?»
Lei assentì con la testa.
«Non hai bisogno di convincermi» fece lui sorridendo. «Sono sempre pronto a combattere al tuo fianco.»
Vi fu uno scambio di sorrisi colmi di affetto.
Immanuel, appena abbandonò l’abitazione, si rivolse ad entrambi con un tono brusco:
«Mentre voi combatterete contro i demoni, io dovrò occuparmi di questa Atalya.» Si voltò verso Publius. «Hai mai sentito parlare di un certo Valentus Polaris? Da quello che so, risiede a Milawata da un paio di anni.»
«Mm …» fece grattandosi il mento. «Forse …? Se stai parlando del tizio che vive nella foresta, allora ti consiglio di stare attento. Pare che non ami le visite, soprattutto da parte di stranieri.»
«Cosa sai di lui?»
«Pochissimo. So solo che vive in una vecchia fortezza a tre giorni da qui. So che è una specie di eremita, un esperto di magia … ma non so altro.»
«Dove devo andare?» domandò cupo.
«Nordest. Sarà un viaggio lungo-»
«Non importa.»
Voltò le spalle ai suoi ex compagni d’arme.
«Buona fortuna, Immanuel» disse Selene.
«Sì … buona fortuna anche voi. Ci rivedremo sul campo battiglia.»
Se ne andò.
La notte ricoprì con il suo velo stellato il Bosco delle Ninfe ma Immanuel non si fermò per dormire. Faceva brevi pause ogni duecento metri e riprendeva a camminare con passo moderato.
Non aveva paura dell’oscurità.
I suoni della notte non lo inquietavano.
Era freddo. Era concentrato sul suo obbiettivo.
Un fugace rimorso percorse i suoi pensieri, il rammarico causato dal modo in cui aveva abbandonato la sua migliore amica, ma questo non poté deragliare il suo cammino.
Dall’oscurità sopraggiunse una bestia ringhiante. Questo mostro camminava su due zampe di cavallo e sfregiava gli alberi con lunghi artigli neri. Il suo pelo era pallido e il muso caprino aveva due occhi di sangue. Le due grandi corna ricordavano quelle di uno stambecco.
La bestia ruggì esibendo i suoi denti affilati.
Immanuel si fermò. Con un modo di fare infastidito domandò:
«E tu da dove vieni?»
Non si aspettava una risposta, però l’attacco della bestia lo prese leggermente alla sprovvista. Riuscì a schivare gli artigli e, non appena si mise in posizione di combattimento, vide la bestia fare un salto verso di lui. Immanuel rotolò per terra. Non appena gli zoccoli del mostro sollevarono una cortina di polveri dal terreno, Immanuel diede un colpo alla terra col piede ed esclamò:
«Begrenzung!»
Un cerchio magico di color cobalto circondò sia lui che la bestia.
I due erano spalla contro spalla.
Il mostro tentò di girarsi per colpire quell’uomo che, rispetto a lui, era molto più basso.
Immanuel, con un tono gelido, disse:
«Be’ che succede? Non riesci a colpirmi anche se sono così vicino?» Fece una breve pausa seguita da un sospiro. «Non mi aspetto che un Pale-Lilin possa resistere alla mia Magia. Finiamo questa pagliacciata, bestia.»
Immanuel si girò. Strinse il pugno. Ed esclamò a voce alta:
«An Sich!»
Il pugno, avvolto da un’energia celeste, colpì il mostro. Il corpo di quella creatura non subì danno alcuno superficialmente, ma nel giro di qualche secondo esplose in tante membra insanguinate che tinsero di rosso la vegetazione circostante … e Immanuel.
Il cerchio magico scomparve e l’uomo tornò sui suoi passi.
Era una voce famigliare. La voce di un’amica. Quando Immanuel aprì gli occhi si trovò davanti la faccia di Selene Renier. Lo sguardo ansioso di lei lo incitò ad alzarsi velocemente.
«Sto bene … sto bene» esclamò pulendosi la giacca.
«Perché sei qui? Pensavo che fossi andato a fermare Galorian.»
Lui non rispose subito. Non sapeva come dirle quello che aveva vissuto, non sapeva neanche come avrebbe reagito.
Immanuel si allontanò da Selene con un modo impacciato. Lei, con un’acutezza degna di un’aquila, intuì subito che l’amico le stava nascondendo qualcosa di grave; non gli fece pressioni. Accennando alla porta di legno alle sue spalle, domandò:
«Vuoi bere qualcosa?»
Lui assentì ed i due abbandonarono quell’abitazione di pietra.
Milawata era un’area della Torre abitata da centinaia di edifici che sembravano essere figli dell’Antica Grecia. Attorno a quell’insediamento sorgeva il Bosco delle Ninfe.
Le persone che vivevano a Milawata indossavano abbigliamenti di varie salse: c’era chi preferiva indumenti all’antica e ovviamente c’erano anche coloro che portavano vestiti più moderni.
Immanuel, sentendo un caldo marittimo mescolato con un sottile odore di costa, venne colpito da una forte nostalgia.
«Bentornato a casa, Immanuel» disse Selene.
«Casa dolce casa …» mormorò lui assaporando con gli occhi la bellissima Milawata, illuminata dal sole.
«Molte cose sono cambiate da quando sei partito» asserì lei. «Quanto tempo è? Sette, nove mesi? Il tempo è volato.»
«Come mi hai trovato?» domandò lui interessato.
«Eri sdraiato sul pavimento di casa mia. Eri addormentato. Quando sono rientrata ti ho trovato lì. Ma come ci sei arrivato? È un nuovo potere? È stata opera di Galorian?»
«No … è … complicato.»
«Lo immaginavo. Non hai intenzione di spiegarmi che cosa è successo?»
«Prima sediamoci … è una storia lunga» rispose lui.
I due entrarono in una taverna. Il proprietario accolse Immanuel con lo stesso affetto di un padre commosso; ad entrambi offrì il tavolo migliore, su una terrazza con una buona panoramica. Quando i due boccali di birra raggiunsero la tavola, iniziarono le domande di Selene:
«Puoi spiegarmi che cosa è successo? Sei riuscito o no ad uccidere Galorian?»
«No» rispose lui con rammarico. «Ho fallito.»
«Allora … cosa ci fai qui?» domandò confusa.
«Ecco … è … difficile da spiegare …»
«Tu fallo» ordinò lei con uno sguardo autoritario.
«Ero riuscito a trovare Galorian a Twangste, dopo mesi di ricerca. Avevo preparato un piano per ucciderlo ma le cose non sono andate per il meglio, anzi, la mia intera strategia è stata completamente neutralizzata.»
«In che senso?»
«Galorian si è fatto costruire una specie di arma che è in grado di inibire i nostri poteri.»
Lei non disse niente, ma i suoi occhi esprimevano un dubbio gravemente marcato.
«Lo so, è difficile da concepire» fece lui grattandosi il capo. «Ma è così e … beh, non è tutto.»
«Cos’altro c’è?»
«Sono morto.»
Calò un silenzio da funerale. Selene aveva gli occhi e la bocca spalancati. Non emise neanche un verso.
«Sono stato ucciso da Galorian ma … sono stato riportato in vita.»
«Sì …? Ehm … e chi è stato a …»
«Una certa Hush de Void. Non saprei come definirla … forse è una specie di divinità, ma mi ha dato una seconda possibilità che non ho intenzione di sprecare.»
«Quindi sei qui per vendicarti?»
«Già … se solo fosse così semplice …» borbottò lui.
«Cosa significa?»
«Hush de Void vuole che prima io faccia qualcosa per lei, altrimenti mi farà esplodere. Letteralmente.»
Selene fece un respiro profondo e svuotò il boccale di birra in un unico sorso. Non appena il boccale picchiò contro il legno, lei esclamò:
«Queste sono tante cose da digerire, Immanuel. Un po’ troppe …» Una breve pausa. «Tanto per cominciare, non ho mai sentito parlare di questa Hush de Void. Non credo che sia una divinità. Ci sono solo sette dèi, e nessuno di loro porta quel nome.»
«Lo so. Mi rendo conto che sia difficile credermi sulla parola … ma tutto quello che ti sto dicendo è vero.»
«Non capisci, non è un problema di fiducia …» fece lei dopo aver rubato il bicchiere di Immanuel. Consumò anche la seconda dose di birra. «Io mi fido di te, mi sono sempre fidata di te. Insieme, io e te, abbiamo combattuto contro demoni di ogni tipo e abbiamo protetto il Sacro Fuoco. Ma sentirti dire che sei morto è … strano. Insomma, io ti ho visto affrontare nemici peggiori di Galorian. Come ha fatto quel verme a …» si corresse «giusto, ha usato quell’arma di cui hai parlato. Ma come l’ha ottenuta? Gli è stata regalata insieme alle sue palle?»
«Demoni. Da quello che so c’è lo zampino di un demone chiamato Agares.» Fece una breve pausa seguita da un pesante sospiro preoccupato. «Senti, Selene, il Sacro Fuoco … è ancora protetto dal Muro di Gaia?»
«Sì, perché?»
«Galorian vuole spegnere il Sacro Fuoco. Ecco perché si alleato con Agares.»
«Figlio di-!» Selene lanciò il boccale di vetro giù dalla terrazza. Il suo volto, dipinto dalla rabbia, si placò dopo qualche minuto. La donna tirò un sospiro nervoso. «Dobbiamo fermarlo.»
«Lo so.»
«Noi siamo stati scelti per difendere il Sacro Fuoco dalle forze del Caos.»
«So anche questo.»
«Ma sono passati due anni dalla Guerra della Breccia. Avevamo distrutto l’Albero del Caos. Come ha fatto Agares ad entrare nella Torre?»
«Non lo so» rispose amareggiato. «Non ne ho idea. Senza l’Albero del Caos, nessun demone può entrare nella Torre. Eppure … eppure Agares ha trovato un modo, ed ora collabora con Galorian.»
Selene abbandonò il tavolo senza dire una parola.
Immanuel seguì l’amica fuori dalla taverna e in casa di lei. Selene prese da un vecchio baule il suo fidato arco, con il quale aveva ucciso centinaia di creature immonde, e, con uno sguardo determinato, asserì:
«Poniamo subito fine a questa storia. Qualsiasi cosa sia successa, non possiamo lasciare che un demone attacchi il Muro di Gaia. Il Sacro Fuoco deve rimanere acceso.»
«Hai ragione, ma io non posso aiutarti. Devo prima portare a termine l’incarico che mi è stato assegnato» disse senza nascondere il suo rammarico.
«L’ho capito subito, ma questo non cambia le cose. Tu per primo dovresti sapere quanto è stato difficile ergere quella muraglia magica. Se dovesse essere distrutta … sarebbe la fine» concluse con un tono cupo.
Lei aveva ragione. Immanuel lo sapeva. Ovviamene l’idea di lasciar partire la sua migliore amica lo rattristiva, ma non poteva impedirle di proteggere il Sacro Fuoco. Per questo erano stati scelti dai Sette Divini, il loro scopo era quello di difendere il Sacro Fuoco da ogni minaccia.
Selene stava soltanto svolgendo il suo dovere. Immanuel ne era conscio; mise a tacere il suo sconforto e, appoggiando una mano sulla spalla della donna, disse:
«Non ti impedirò di andare … ma non andarci da sola. È un suicidio.»
«Non sono stupida» borbottò lei. «So perfettamente che avrò bisogno di rinforzi.»
Selene abbandonò l’abitazione insieme all’amico.
Il Bosco delle Ninfe era abitato da altissimi castagni, tozzi ciliegi e antiche querce. Avventurarsi per quelle strade terrose non era pericoloso, al massimo si poteva rischiare di incontrare dei lupi … ma questi non erano mai propensi ad attaccare gli umani.
L’ululato del fresco vento trasportava quell’aroma selvatico che placava il turbato animo di Immanuel.
La sua mente venne abbracciata da immagini di lui e Selene, bambini, che giocavano assieme nel verde.
«Ti ricordi il nostro primo cervo?» domandò Immanuel con lo sguardo assorto nei ricordi.
«Sì» rispose lei sorridendo. «Io ricordo che tu non eri mai stato bravo a cacciare, mentre io ero stata educata da mio padre.»
«Ruppi la corda dell’arco almeno quattro volte.»
«Avvistato il cervo, facesti: “Ci penso io, ci penso io” e, tirato fuori l’arco, strappasti la corda e mi guardasti con due occhioni lucidi» si mise a ridere.
«Non era colpa mia. Erano gli archi ad essere …»
«… troppo fragili» finì la frase con lui. «Ahah! Bei tempi, davvero … era tutto più semplice in passato.»
«Già» fece lui nostalgico. «Se solo si potesse tornare indietro …»
«Non dire questo. Lo sai che non mi piace» rimproverò con gentilezza. «Va bene pensare al passato, ma non possiamo vivere bramando costantemente di tornare indietro. Ciò che è accaduto è accaduto. Dobbiamo andare avanti e vivere la nostra vita.»
«Com’è che recitava il Libro della Verità?» Rifletté un attimo. «Ecco: “Cinquecento anni di vita ti aspettano, cinquecento anni di servitù farai; cinquecento anni di lealtà e amore verso i Sette Divini. Vivi. Muori. Vivi. Muori. Sempre proteggendo il Lume della Ragione”.»
«Questa è la nostra vita. Non possiamo lamentarci.»
Immanuel preferì tacere la verità che aveva imparato da Hush de Void, la verità concernente la reincarnazione. Non aveva intenzione di turbare l’amica, soprattutto non prima di una missione importante.
I due si fermarono ai piedi di un lago cristallino: il Lago delle Ninfe. A destra, su una banchina alle cui spalle era stata eretta un’umile abitazione in legno, c’era un giovane pescatore dal fisico atletico e scuro.
«Ecco perché siamo qui ...» disse Immanuel a bassa voce.
«Se devo andare a caccia di demoni, dovrò portarmi dietro Hortio» asserì lei.
I due avvicinarono il giovane Publius Hortio. Quando egli, immerso nella pesca, vide arrivare i due ex compagni d’arme, fece un salto di gioia e li abbracciò entrambi. Selene fu più propensa di Immanuel a ricambiare l’abbraccio.
«Quanto tempo! Sono lieto di rivedervi!» esclamò lui pieno di entusiasmo.
Hortio, senza troppi indugi, condusse i due nella baracca.
Selene si accomodò su una panchina di legno mentre Immanuel preferì stare in piedi. Publius offrì ad entrambi della zuppa di pesce; solo Selene la mangiò; Immanuel preferì lasciare la scodella sul tavolo.
Publius, dopo essersi seduto, lanciò il suo sguardo a Immanuel.
«Quindi, perché tu sei qui?»
«Tu partirai con Selene e affronterai-»
«Da quando prendo ordini da te?» domandò con tono di sfida. «Non sei mai stato il mio comandante, non presumere di avere qualche autorità su di me.»
«Tu farai il tuo dovere, Hortio» affermò tenendo le braccia conserte.
«Quindi … fammi capire: tu te ne vai per dieci mesi senza dire niente a nessuno, poi ritorni qui e pretendi di avere il diritto di dirmi cosa devo fare?» Fece una breve pausa. «Non hai nessun rispetto per me. Almeno Selene si è degnata di farmi visita una volta al mese, tu dove sei stato?»
«A vendicare la morte di mio fratello!» esclamò Immanuel furente.
«Basta!» tuonò Selene. «Tutti e due! Siamo compagni d’arme, per l’amor dei Sette! Abbiamo affrontato legioni di demoni nella Guerra della Breccia e insieme, noi tre, abbiamo distrutto l’Albero del Caos e costruito il Muro di Gaia.» Fece una veloce pausa. «Dobbiamo sostenerci a vicenda.»
«Non devi farli a me questi discorsi,» Hortio puntò il dito contro Immanuel «ma a lui. Lui è quello che se ne è andato senza dirci niente. Lui è quello che ha tagliato i ponti con noi.»
«Galorian non era mio amico, fosti tu a reclutarlo … ricordi?» domandò Immanuel grave.
Ci fu un momento di silenzio.
«Mi stai accusando?» fece Hortio scioccato. «Non ho colpe per quello che è successo a tuo fratello. È stato Galorian, non io. Come potevo sapere-»
«Era una tua responsabilità!» Immanuel alzò nuovamente il tono della voce. «Tu avresti dovuto informarti sul suo conto prima di reclutarlo. A causa della tua negligenza-»
«Ho detto basta!» Selene sbatté entrambe le mani sul tavolo. «Voi due vi state comportando come bambini! Non è il momento adatto per fare certe discussioni! Se volete picchiarvi come i mocciosi, va bene! Ma adesso abbiamo cose più importanti a cui pensare.»
«Ovvero …?» domandò Hortio confuso.
Selene, allora, spiegò tutta la situazione all’amico.
La reazione di Hortio fu un misto di terrore e preoccupazione; ma entrambe le emozioni vennero scavalcate da un forte sospetto.
Hortio afferrò un tridente, la sua fidata arma, che era attaccato al muro; puntò l’arma verso Immanuel.
Immanuel non accettò l’affronto e si preparò a combattere.
Selene intervenne per placare quello scontro che si stava preannunciando.
«Un morto che ritorna in vita? No, no. Scommetto che c’è lo zampino di un demone» disse Hortio.
«Non lo possiamo sapere, Publius, metti via l’arma» ordinò Selene.
«Non è stato un demone» fece Immanuel aggressivamente. «Quella creatura non era un demone, ne sono sicuro.»
«E perché ti dovrei credere?» protestò Hortio deciso a combattere.
«Fidati di me, Publius … ti puoi fidare di me, no?»
La voce di Selene placò l’animo di Hortio. Egli abbassò l’arma e uscì dall’abitazione, imbarazzato per la reazione avuta.
Immanuel ringraziò la donna ma questa, con un tono freddo, disse:
«Non ringraziarmi, prima o poi dovrai dimostrare di non essere nelle mani di un demone.»
«Quindi anche tu nutri il medesimo sospetto?»
«Il fatto che non abbia avuto un attacco di ira non significa che mi fidi di questa Hush de Void.»
«Selene … sono sicuro che non fosse un demone …»
«Dillo alla tua faccia» controbatté lei accennando con il dito al viso di lui, che esprimeva la più profonda insicurezza.
La donna abbandonò la baracca e si riunì con Publius Hortio.
Il giovane guerriero dai capelli blu si rivolse alla donna con parole di sconforto:
Immanuel (BikoWolf) |
«Lo so.»
«Mi dispiace, davvero, è solo che … non mi fido di lui.» Fece una lunga pausa. «Pensavo di conoscerlo, ma dopo tutto quello che è accaduto ultimamente … non lo so … non mi sembra più l’uomo che ha combattuto al nostro fianco.»
«Non hai bisogno di giustificarti con me, Publius. Capisco come ti senti e non ti giudico per questo … ma ho bisogno del tuo aiuto.»
«Vuoi convincermi a combattere al tuo fianco?»
Lei assentì con la testa.
«Non hai bisogno di convincermi» fece lui sorridendo. «Sono sempre pronto a combattere al tuo fianco.»
Vi fu uno scambio di sorrisi colmi di affetto.
Immanuel, appena abbandonò l’abitazione, si rivolse ad entrambi con un tono brusco:
«Mentre voi combatterete contro i demoni, io dovrò occuparmi di questa Atalya.» Si voltò verso Publius. «Hai mai sentito parlare di un certo Valentus Polaris? Da quello che so, risiede a Milawata da un paio di anni.»
«Mm …» fece grattandosi il mento. «Forse …? Se stai parlando del tizio che vive nella foresta, allora ti consiglio di stare attento. Pare che non ami le visite, soprattutto da parte di stranieri.»
«Cosa sai di lui?»
«Pochissimo. So solo che vive in una vecchia fortezza a tre giorni da qui. So che è una specie di eremita, un esperto di magia … ma non so altro.»
«Dove devo andare?» domandò cupo.
«Nordest. Sarà un viaggio lungo-»
«Non importa.»
Voltò le spalle ai suoi ex compagni d’arme.
«Buona fortuna, Immanuel» disse Selene.
«Sì … buona fortuna anche voi. Ci rivedremo sul campo battiglia.»
Se ne andò.
La notte ricoprì con il suo velo stellato il Bosco delle Ninfe ma Immanuel non si fermò per dormire. Faceva brevi pause ogni duecento metri e riprendeva a camminare con passo moderato.
Non aveva paura dell’oscurità.
I suoni della notte non lo inquietavano.
Era freddo. Era concentrato sul suo obbiettivo.
Un fugace rimorso percorse i suoi pensieri, il rammarico causato dal modo in cui aveva abbandonato la sua migliore amica, ma questo non poté deragliare il suo cammino.
Dall’oscurità sopraggiunse una bestia ringhiante. Questo mostro camminava su due zampe di cavallo e sfregiava gli alberi con lunghi artigli neri. Il suo pelo era pallido e il muso caprino aveva due occhi di sangue. Le due grandi corna ricordavano quelle di uno stambecco.
La bestia ruggì esibendo i suoi denti affilati.
Immanuel si fermò. Con un modo di fare infastidito domandò:
«E tu da dove vieni?»
Non si aspettava una risposta, però l’attacco della bestia lo prese leggermente alla sprovvista. Riuscì a schivare gli artigli e, non appena si mise in posizione di combattimento, vide la bestia fare un salto verso di lui. Immanuel rotolò per terra. Non appena gli zoccoli del mostro sollevarono una cortina di polveri dal terreno, Immanuel diede un colpo alla terra col piede ed esclamò:
«Begrenzung!»
Un cerchio magico di color cobalto circondò sia lui che la bestia.
I due erano spalla contro spalla.
Il mostro tentò di girarsi per colpire quell’uomo che, rispetto a lui, era molto più basso.
Immanuel, con un tono gelido, disse:
«Be’ che succede? Non riesci a colpirmi anche se sono così vicino?» Fece una breve pausa seguita da un sospiro. «Non mi aspetto che un Pale-Lilin possa resistere alla mia Magia. Finiamo questa pagliacciata, bestia.»
Immanuel si girò. Strinse il pugno. Ed esclamò a voce alta:
«An Sich!»
Il pugno, avvolto da un’energia celeste, colpì il mostro. Il corpo di quella creatura non subì danno alcuno superficialmente, ma nel giro di qualche secondo esplose in tante membra insanguinate che tinsero di rosso la vegetazione circostante … e Immanuel.
Il cerchio magico scomparve e l’uomo tornò sui suoi passi.
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